Le basi: come insegnare al gatto a non graffiare, usare la lettiera e vivere con noi
Quando si prende un gatto, un compagno che farà parte della nostra famiglia per tutta la vita, viviamo un momento bellissimo, che oltre ad essere bello come momento in sé è anche pieno di aspettative su quella che sarà la nostra vita insieme al nuovo arrivato. I principali problemi che ci troveremo ad affrontare sono come insegnare al gatto a non graffiare e come far capire ad un gatto di usare la lettiera, che ho visto sono le due principali questioni quando si porta un gatto a casa.
Ci aspettiamo che il gatto sia lì con noi a svegliarci la mattina, ci dia la buonanotte, giochi con noi, esegua i nostri ordini…Un gatto ben educato, magari addestrato a fare le fusa a comando, già educato a non salire sui mobili…Poi ci ricordiamo che stiamo parlando di un gatto.
Il gatto è un animale la cui idea del mondo è un incrocio tra il pensiero di Montgomery Burns dei Simpson e di Stewie Griffin, dei cartoni animati. Li avete presenti? Ecco, qualcosa del genere.
In quel corpo tenero e coccoloso noi vediamo il gattino come una stellina pucciosa da accudire, lui ci vede come i suoi servi che gli danno da mangiare e che se non rompono i testis quando ha da fare, tanto meglio. Diciamo che come filosofie non vanno proprio d’accordissimo.
Certo, il gatto si affeziona a noi, ci fa compagnia, ci da affetto, è dipendente da noi, ma sicuramente non è da considerarsi come un animale a noi sottomesso, anzi, mantiene sempre la sua indipendenza ed il suo “caratterino”. Quello che possiamo fare con questo essere così indipendente sono le basi: l’uso della lettiera, che per lo più gli viene naturale, e insegnargli a non usare le unghie su tutto ciò che incontra, compresi noi.
Per questo motivo, cercheremo di capire come si fa ad addomesticare un gatto alle buone pratiche più comuni, come usare la lettiera, insegnare il gatto a non graffiare mobili e divani e anche a rispettare i nostri orari, sempre rispettando a nostra volta quella che è la sua etologia (psicologia).
Leggi anche: Accogliere ed educare un gattino, tutti i consigli
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Come insegnare un gatto a non graffiare
Iniziamo, al solito, a vedere l’educazione dal punto di vista del gatto: io sono il re, tu accarezzandomi mi dai fastidio e io ti graffio, perché comando io (o perché ho paura, può succedere). Questo per quanto riguarda il graffio alle persone.
Se il gatto è aggressivo, magari lo è per paura o perché non sta bene. [Scarica l’estratto gratuito “Il mio gatto è aggressivo, che devo fare?“] Magari abbiamo a che fare con un gatto randagio, e vorremmo insegnargli a non essere aggressivo per portarlo a vivere in casa nostra.
Il graffiare per il gatto è un meccanismo di difesa e di attacco: graffia quando vuole cacciare e quando vuole difendersi da una aggressione.
Immagina di essere preso e strattonato da qualcuno, anche se non vuoi: non tireresti fuori le unghie per difenderti?
Se vogliamo educare un gatto randagio a non graffiare, il “premio” migliore è sempre il cibo, magari qualcosa di buono; offriamoglielo con il braccio teso e il corpo lontano, così che lui sia spinto ad avvicinarsi per mangiare. Se mangia dal palmo della nostra mano non ha motivo di graffiarci, ma non cerchiamo di accarezzarlo a tradimento, perché solo con il passare dei giorni capirà che non siamo cattivi e inizierà lui a farci le fusa, “possedendoci” come abbiamo detto prima.
Allora potremo iniziare ad accarezzarlo, e magari se si fa accarezzare offriamogli qualcos’altro, così che capisca che si tratta di uno scambio equo.
Insegnare al gatto a non graffiare le mani
Per non far prendere l’abitudine ad un gattino piccolo a non graffiarci mani e piedi, evitiamo di farlo giocare da piccolino con essi, perché quando gli cresceranno le unghie ed i denti, penserà di poter giocare allo stesso modo!
Per insegnare ad un gatto a non graffiare fin da piccolo è importante, oltre che evitare di insegnargli che mani e piedi siano giochi, anche farlo imparare e ritirare le unghie quando gli facciamo capire che ci sta facendo male.
In genere questa cosa il gattino la impara da piccolo, quando gioca con mamma gatta ed i suoi fratellini: sono loro che gli fanno capire come moderarsi con il graffio. Per questo è importante lasciare un gattino con mamma gatta fino al quarto mese di età, quando apprende queste regole di buona convivenza con gli essere che sono amici.
Sarà molto più difficile insegnare ad un gatto adulto a non graffiare, specialmente se è stato tolto a mamma gatta prima del quarto mese di età.
Per insegnare noi al nostro micio a non graffiarci, possiamo provare, quando tira fuori le unghie sulle nostre mani, a rimanere immobili e a dire un sonoro “No”, ad alta voce, aspettando che il gatto ritiri le unghie. Possiamo anche provare, con molta calma e movimenti lenti, a spingergli dolcemente le unghie indietro nelle zampette, delicatamente, così da fargli capire che deve ritirarle perché ci sta facendo male.
Bisogna evitare, se il nostro gatto ci sta graffiando, di togliere la mano velocemente. So che è un gesto che ci viene istintuale per proteggerci, ma se fai attenzione a quando il gatto tiene stretto qualcosa tende, dopo un po’ che questa cosa è immobile, a ritirare le unghie, ma appena questa cosa si muove e tende a scappare, le tira fuori di nuovo.
Per cui se il gatto ci ha afferrato una mano con le unghie per evitare che ci faccia davvero male conviene stare fermi senza provare a ritirare la mano, ma farlo molto ma molto lentamente, per evitare reazioni del gatto.
Insegnare al gatto a non graffiare i mobili
Per quanto riguarda il graffiare i mobili e il divano, farsi le unghie per un gatto è un bisogno primario, per cui bisogna mettere a disposizione del gatto un posto migliore per farsi le unghie rispetto al divano.
In vendita ci sono i tiragraffi, (ti ho parlato in un articolo di come scegliere il tiragraffi) che servono proprio a questo scopo, e se proprio non vuol saperne di smettere ci sono anche gli attrattivi e i repellenti, cioè odori gradevolissimi o sgradevolissimi per il gatto che si usano per farlo andare o non andare in un certo posto della casa.
Di solito però si fa un errore fondamentale quando si porta a casa un tiragraffi: cioè collocarlo in un angolo della stanza a ridosso del muro. In questo caso il gatto probabilmente lo ignorerà e continuerà a farsi le unghie sul divano.
Il tiragraffi va posizionato al posto o vicino al mobile che il gatto tende a graffiare, quindi vicino al bracciolo del divano e vicino o al posto della pianta dove il gatto ama arrampicarsi.
Esistono anche delle superfici graffiabili fatte apposta per essere applicate ai profili dei mobili e del divano, delle specie di braccioli sostitutivi:
- TAPPETO ANTIGRAFFIO...
- MATERIALE SISAL: con...
- PROTEZIONE E DIVERTENTE:...
Voglio chiarire una cosa importante: non toglieremo mai l’abitudine del gatto di farsi le unghie da qualche parte, perché è un suo bisogno primario, come per noi mangiare e dormire. Possiamo provare a dissuaderlo dal graffiare il divano pronunciando un sonoro “No” quando lo fa, ma se il gatto non trova altre superfici per marcare il territorio con le unghie, lo farà ancora.
Come far capire a un gatto di usare la lettiera
Di solito educare un gatto ad usare la lettiera è molto semplice, basta fargli capire dov’è la lettiera.
Il gatto è un cacciatore, e non deve far sentire l’odore delle proprie feci alle prede, per cui istintivamente vuole sotterrare i suoi bisogni, e farà tutto da solo. Le cose sono un po’ più difficili quando le lettiere sono chiuse, perché magari ha paura ad entrare.
In questo caso si lascia la porta aperta e si mette un po’ di cibo dentro a lettiera pulita, perché capisca che entrare e uscire non crea alcun tipo di problema. Capito questo, apprezzerà la lettiera chiusa così come quella aperta, e la userà.
Se il gatto è adulto, magari preferirà ancora uscire piuttosto che usare la lettiera, ma ci sono anche gatti che pur uscendo quando vogliono preferiscono usare la lettiera in casa per i loro bisogni. Ovviamente è più semplice che un gatto si abitui da piccolo a fare i bisogni nella lettiera, ma anche un gatto adulto può imparare.
Ovvio che se costringiamo un gatto adulto a rimanere sempre in casa se è sempre stato abituato ad uscire, avremo non solo il problema che non userà volentieri la lettiera, ma probabilmente inizierà a fare pipì in giro per casa per farci capire il suo disagio. Difficilmente in questo caso potremmo insegnargli ad usare la lettiera.
Abituare il gatto alla vita in casa
L’educazione del gatto, da questo punto di vista, parte da presupposti vari, in relazione alla situazione che viviamo nella nostra famiglia.
Abituare un gatto a vivere secondo i nostri orari, ad esempio, piuttosto che a fare qualcosa o, viceversa, a non farla (a non miagolare, a mettersi seduto, a non saltare sui mobili e via dicendo) richiede soprattutto pazienza e costanza, in relazione a ciò che vogliamo raggiungere: bisogna sempre partire da cose semplici, perché se vogliamo insegnare al gatto a portarci le pantofole probabilmente non ci riusciremo mai.
L’educazione del gatto si può eseguire in due modi: in senso positivo, cioè a fare qualcosa, o in senso negativo ovvero a non farla. Gli esempi precedenti (lettiera e graffi) sono due situazioni di questo tipo.
Se vogliamo insegnare al gatto a non fare qualcosa, ad esempio non salire sui tavoli, bisogna farglielo capire con maniere un po’ forti, perché lui si sente padrone.
Per cui, i “no” secchi, come per i cani spesso funzionano, e anche prendere il gatto e spostarlo di peso (ai gatti non piace essere sollevati senza consenso) è utile. Ovviamente con gentilezza.
Il gatto mal sopporta i forti rumori, ed un “no” autoritario ed una schioccata con le mani, spesso lo infastidiscono e lo fanno desistere dal comportamento indesiderato.
Bisogna essere costanti, e scoraggiare l’atteggiamento ogni volta che il gatto “ci prova”.
Oppure ci sono i repellenti, di cui parlavamo prima, o ancora lo spruzzino d’acqua (anche i flaconi dei prodotti per i vetri, ben puliti e riempiti d’acqua, vanno bene) che non fa male, ma il gatto lo odia, ed è un ottimo modo perché capisca che una cosa non va fatta.
E’ possibile addestrare un gatto?
Quando invece vogliamo che impari a fare una cosa, dobbiamo addestrarlo. L’addestramento del gatto si fa per non più di cinque minuti al giorno, perché poi cala l’attenzione e non sta più attento; inoltre non bisogna mai lasciare il cibo ad libitum, cioè a volontà che mangia quando vuole, ma bisogna (come base) darlo a certi orari e toglierlo ad altri; così peraltro si abitua bene anche agli orari.
In questo modo, prima di dare da mangiare, il gatto avrà fame, e noi la possiamo sfruttare per addestrarlo.
Aspettiamo che faccia una cosa che vogliamo e gli diamo un croccantino di ricompensa. Questo si fa per tre o quattro volte, poi si smette e gli diamo normalmente da mangiare.
Fatto per una, due settimane, vedremo che lui farà esattamente ciò che gli diciamo, perché per lui diventa un modo per ottenere da mangiare (forse gli sembreremo schiavi un po’ strani, chi lo sa) e così, con un po’ di pazienza ma anche in modo molto semplice, lo avremo educato a fare ciò che vogliamo.
Leggi anche: Addestrare un gatto è possibile? Ecco come
Altri importanti consigli sull’educazione del gatto li trovi nel manuale “Come capire e risolvere i 10 problemi comportamentali più diffusi del gatto”. Scoprilo ora!
E ora scrivimi le tue esperienze con i graffi del gatto e la lettiera: come si comporta il tuo gatto? Sei riuscita ad abituarlo subito alla lettiera o hai avuto difficoltà? E per quanto riguarda il graffiare? Ha preso di mira le tue mani o non usa mai le unghie? Scrivimi la tua esperienza qui sotto nei commenti.
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Buonasera, ma è vero che con gli ultrasuoni, cioè questi [NO LINK] è possibile addestrare un gatto o è solo una diceria?
I miei li ho educati senza problemi.
Attenzione alle mani perche’ quando sono selvatici possono mordere e causare lesioni. Quindi vanno manipolati con prudenza.Meglio isolarli in una gabbia per conigli nani per un almeno 15- 30 giorni.Si devono abituare alla presenza umana.Poi porli in un locale piccolo per esempio un gabinetto e mettergli sempre acqua e la lettiera.
Grazie per il commento. Ho delle perplessità sulla gabbia per conigli nani per 15-30 giorni, è eccessivamente piccola, dipende molto da quanto grande è il gatto, da come si comporta, da come è abituato. Un mese in una gabbietta per conigli mi pare esagerato.
Forse la creatura pelosa che miagola e fa le fusa ormai da due anni a casa mia, non è un gatto, perché nei comportamenti sopra descritti non lo rivedo per niente. Forse conta (molto) il fatto che l’ho preso con me dalla strada, dopo un paio di mesi di amicizia e frequentazione quotidiana (lui viveva in una colonia spontanea e non seguita accanto all’ufficio dove lavoravo) e dopo che un incidente stradale aveva reso impossibile per lui continuare quella vita infame. Ma il mio gatto, sin dai primi giorni, ha avuto un’attenzione ed un rispetto verso di me e verso la casa assoluto e naturale. In due anni e mezzo ha rotto soltanto un umidificatore del termosifone, un paio di piatti (qui c’è il concorso di colpa con me, perché è successo giocando) e una guaina di gomma di una porta. Mai tentato di graffiare un mobile, un divano, una poltrona (e casa mia è arredata quasi completamente in legno). Conterà qualcosa il fatto che non gli ho mai proibito l’ingresso in nessuna stanza, che quando lo lascio solo in casa, a volte anche 13 o 14 ore -per lavoro-, tutte le porte sono aperte e, quando il clima lo consente, anche quelle di accesso alla balconata? Sin da subito, pur non avendo mai avuto un animale in casa con me, mi sono posto “dialetticamente” nei suoi confronti, senza pensare di innescare dinamiche di potere (chi comanda e chi obbedisce), ma partendo dall’affetto infinito che provo nei suoi confronti e dalla consapevolezza di avere a che fare con un vivente che, sebbene di altra specie, ha le sue esigenze, il suo istinto, la sua sensibilità esattamente come le ho io e che la base per una bella e sana convivenza non può che essere questa comprensione. Il bello è che da subito anche lui si è posto allo stesso modo nei miei confronti: era percettibile il suo sforzo di capire e farsi capire, la sua disponibilità all’ascolto e all’adattamento, la dolcezza e il rispetto. Ha avuto da subito un tiragraffi ma non l’ha mai degnato di uno sguardo, e non ha mai attaccato le poltrone ed i divani (in legno) o i cuscini: per gli artigli, utilizza le scatole di cartone che gli porto, e che ho piazzato in diversi punti della casa. Per la lettiera non c’è stato alcun problema: prima di venire da me, era stato per una settimana a casa di un collega, che dopo avergli procurato (involontariamente) una frattura al femore, lo ha riportato nella “colonia” perché a suo dire ingovernabile. Un gesto infame, senza dubbio. Avrà pesato anche questo nel suo atteggiamento nei miei confronti? Avrà fatto “il bravo” (per più di due anni?) solo per la paura di ritrovarsi di nuovo per strada (io comunque non ce lo avrei mai riportato, per nessuna ragione al mondo, of course)?
Per i graffi, il discorso é diverso. Quando il gatto é stato restituito alla strada, ha subito un doppio choc: da un lato, si é ritrovato senza capire il perché di nuovo al freddo e alla fame, dall’altro gli altri cuccioli non trovavano più divertente giocare con lui in virtù delle sue ridotte capacità motorie dopo la frattura del femore. E dire che prima, mentre gli altri gattini lottavano come dei lottatori di sumo, lui pareva il giovane Mohamed Alì, leggero come una farfalla e pungente come un’ape: schivava e colpiva. Uno spettacolo. Aveva anche scoperto che poteva abbattere gli altri gattini, tutti più grandi di lui, lanciandosi contro di loro a tutta velocità. Geniale. Ma ora, con un femore fratturato, anche il gattino più imbranato poteva facilmente avere ragione di lui, e quindi dopo un paio di giorni hanno smesso di giocare con lui. Ma quello che sarebbe diventato il mio gatto non si è perso d’animo. Se i gattini lo rifiutavano, ha cercato di giocare con noi umani. Ne ha prese di parolacce e calci, finché non ha provato a giocare con me. Sapendo quanto per un cucciolo é importante il gioco come addestramento, mi sono prestato volentieri: meglio quel poco di esercizio che potevo offrirgli io che il nulla assoluto. Così si è abituato a giocare con me, naturalmente facendo la lotta, e siamo diventati amici. Poi il secondo incidente, la frattura alla stessa zampa, all’attaccatura anca /femore, a quel punto l’ho portato via con me, sebbene avessi promesso al padrone di casa che non avrei portato animali nell’appartamento. Le cure dal veterinario, la frattura che non si stabilizzava, fino al giorno dell’operazione, disperato e pericolosissimo tentativo con alte probabilità di insuccesso (in quel caso avrebbe perso l’uso delle zampe posteriori), quando prima di entrare in sala operatoria il veterinario si accorge che in qualche modo la zampa si è stabilizzata e a questo punto mi consiglia di non operarlo più (trattandosi di un veterinario che cura i cani anti mina dei Marines delle basi del Napoletano penso che non sia l’ultimo arrivato). Finché era cucciolotto, no problem, poi col passare dei mesi, ha cominciato a ridurmi le mani come San Lazzaro. Non per cattiveria, ma perché è stato poco con la mamma, che lo ha rifiutato da subito, lasciando che un’altra gatta della colonia lo allattasse. Come ho risolto il problema? Non vietandogli il gioco, che credo funzioni come una sorta di verifica e riaffermazione di un legame e di un rapporto (in fondo ci siamo “conosciuti” così), ma coccolandolo dolcemente mentre lui mozzicava, accarezzandolo, senza sgridarlo, dolcemente e lentamente. Così succede che mentre lui attacca e mozzica, io tengo sotto controllo la sua eccitazione coccolandolo e sussurrandogli qualcosa dolcemente, e quando lo accarezzo, lui rallenta per leccarmi le mani, o si ferma qualche secondo per lasciarsi coccolare e poi riprende, più leggermente, a giocare alla guerra. Anche con le modifiche della sua dieta (è passato dal cibo spazzatura dei supermercati ad un’alimentazione industriale quanto più naturale possibile, di altissima fascia e prezzo) non ho avuto particolari problemi: di fronte ad un cibo nuovo, si ferma e mi guarda con aria interrogativa, io sussurrandogli qualcosa stacco un pezzetto di carne e glie lo offro sulla mia mano, lui annusa appena e poi assaggia. Ripeto l’operazione al massimo due volte e, se accetta il cibo, è fatta.
Ecco perché agli amici dico che non ho un gatto ma un “fratellino felino” con cui divido casa.